Non è facile riassumere in modo completamente razionale le origini che oggi portano alla nascita della Galleria Celeste; le principali idee che hanno innescato questo progetto sono il risultato di alcuni anni di studio ed esperienze personali, condivise e messe a confronto. Trasversale è l’aggettivo più appropriato per sintetizzare l’intero percorso che comprende sia l’arte sia l’azione sociale; un atteggiamento che tenta di elaborare in modo più pragmatico possibile tutti quei contenuti che appartengono al mondo dell’arte ma che esprimono tutti i sentimenti della sfera antropologica; lettura-confronto-riflessione dunque sulle tematiche che attraversano il vissuto dell’uomo in modo inderogabile: i valori etici, sociali e spirituali espressi attraverso la promozione artistica, quest’ultima vista in tutti i suoi livelli esplicativi, dall’esposizione permanente di opere e artisti la cui qualità estetica non sia mai disgiunta dai contenuti, alla attuazione di laboratori, corsi e attività didattico-espressive aperte a varie fasce d’età, aspettative ed esigenze, in particolare per la disabilità, l’attuazione di eventi, studi, dibattiti e spettacoli, la promozione di azioni sociali e di beneficenza.
Celestetica è l’associazione che abbiamo costituito e che organizza questo progetto avvalorandolo e promuovendolo secondo dei parametri forse apparentemente troppo scontati che, nel tempo, hanno perso il loro senso più profondo. Essi sono esplicitamente: la bellezza e l’autenticità del gesto espresso nell’azione artistica, gesto che non vuole interrompersi ai soli oggetti artistici materiali ma condividere e partecipare alle vicende umane.
Il nome stesso “celestetica” ingloba le parole “etica” e “celeste”, definisce da sé una semplice linea programmatica dove ogni cosa bella è arte ed è celeste nella misura in cui può migliorare i valori sociali, umani, etici; il termine “celeste” coglie poi tutti quei significati che, in modo poetico e spirituale ma a vari livelli di libera interpretazione, come quelli appartenenti alla sfera ludica di un sentire celestiale ancora bambino, e perciò ancora più autentico, sono in grado di riassumere e sublimare ogni gesto umano.
Il concepimento di questo nuovo spazio non vorrebbe nemmeno essere legato ad un luogo preciso; questo sembra forse contradditorio vista la mostra inaugurale dedicata proprio alle origini ed evoluzioni dell’arte contemporanea vicentina. Questo è sì certo il miglior modo con cui potevamo presentarci nella città di Vicenza, un modo di scavare nel territorio e trovare delle radici comuni e autentiche, accorgendoci anche, però, di quanto esse vadano lontano. E’ il miglior modo per formare la prima trama di una possibile rete di cultura le cui maglie, in modo armonico, potranno allargarsi e comprendere i bisogni più genuini della comunità. Condividere dei valori etici e sociali è forse oggi la priorità di ogni società civile in cammino. Il luogo d’origine perciò parte da qui ma è espanso agli enti e alle comunità che condividono le azioni che compongono le trame di questa rete “celeste”.
La Galleria Celeste promuove l’arte perché, in ultima analisi, essa rimane ancora il modo più pregnante, ad un tempo elevato e profondo, ludico, ricreativo ed educativo, di creare una rete culturale comunitaria in grado di promuovere la collettività in tutti i suoi aspetti.
Nel contesto epocale della post-Modernità l’accesso al vero, quindi anche al bello e al buono, non avviene secondo la declinazione di sistemi onnicomprensivi o di manuali per il retto uso dell’esistenza. L’accesso tradizionale alle forme della verità rivoluzionato dal pensiero filosofico e teologico più recente e attuale chiede spazi che esprimano in modo compiuto tali accessi rinnovati, offrendo allo stesso mondo della riflessione filosofica e teologica spazi inediti di ridefinizione. Il vero, il bello e il buono vengono all’uomo nell’ingiunzione delle forme concrete dell’esperienza e dell’esistenza, che vanno interrogate primariamente per rendere conto di ciò che accomuna l’uomo.
Tra queste forme particolarmente rilevanti spiccano, nell’interesse dell’esperienza di Celestetica, l’etico e l’estetico.
Non è quindi fuori luogo ripercorrere brevemente i vantaggi di un approccio diretto al fenomeno etico come al fenomeno estetico e interrogare l’intreccio tra i due ambiti.
L’etico nelle forme attuali si dà come momento rivelativo di ciò che accomuna l’umano; oltre la ricerca di una legge morale come fondamento astratto del vivere comune, oltre la frammentazione del relativismo individualista che erige la legge individuale a legge morale per le relazioni con l’altro, le forme etiche nella post-Modernità rivelano l’originario comune dell’umano ed insieme la ricerca di una rinnovata adesione all’origine del vivere in comune dell’uomo. Abitare la condizione di uomini significa recuperare nelle relazioni una dimensione condivisa non intesa in senso coercitivo ma come espressione di una relazione ecologica con il contesto che indica sostenibilità per sé, gli altri e le relazioni a venire.
L’etico supera così il riferimento culturale al morale come regola estrinseca per l’uomo, segnalando la necessità per l’uomo di abitare quanto gli è dato di sperimentare nell’esistenza quotidiana. La rivelazione dell’etico come riferimento dell’umano prende il nome di giustizia, superando la dicotomia tradizionalmente moderna della moralità nei confronti della politica ma evitando anche la sovrapposizione pericolosa e totalitaria dell’etico nel progetto di uno Stato perfetto così come il formalismo di un diritto senza verità etica, mettendo in luce la funzione di lievito dell’etico per il vivere in comune che prende il nome di giustizia.
L’estetico fa risaltare la forma dell’esperienza dell’umano, come rivelativa a sua volta, nella bellezza più che nella giustizia. Il bello segnala l’esperienza comune dell’uomo superando l’astrazione del canone contemporaneo, figlio della Modernità, e permettendo inoltre di recuperare elementi comuni rispetto all’individualismo soggettivista che ha segnato molte parti dell’arte contemporanea.
Così compreso il bello non segnala semplicemente il canone ideale della bellezza rispetto all’esistenza, ma il bello che risalta dall’esperienza quotidiana, anche nelle forme dolorose e di sofferenza in cui il bello sembra lasciare il posto al male e al nulla. Nella bellezza l’uomo ritrova il riferimento originario del proprio essere e subisce una sorta di catarsi che si dà insieme come conversione e come ritorno all’origine. Anche in questo caso il bello come esperienza concreta permette di recuperare i significati dell’esperienza umana non soltanto singolarmente compresa ma come arte di popolo che evidenzia i valori del comunitario e delle relazioni di scambio.
I due momenti si arricchiscono l’un l’altro, nella misura in cui l’estetico evidenzia al massimo grado, nell’esperienza diretta dell’arte, l’ingiunzione che il vero attuale impone nella bellezza, e nella giustizia. La concretezza dell’arte permette immediatamente di superare l’astrattezza del concetto, figlia dell’esperienza moderna ed insieme ritornante pericolosamente soprattutto nell’approccio morale. Dall’altro lato l’etico sembra riportare più fortemente lo stesso estetico all’umano che è comune, all’esperienza elementare che supera il riferimento universalisticamente astratto del concetto moderno, tanto in ambito estetico quanto in ambito etico.
L’esperienza che Celestetica si appresta a vivere è il segno di un’unione di momento etico ed estetico che faccia risaltare le implicazioni etico-sociali dell’estetico come le implicazioni estetiche del buono. Offrire spazi in cui far aderire questi due mondi permetterà di rendere un servizio alla verità, nel riallacciare legami in un’epoca che chiede cambiamenti di paradigma e nuova speranza per l’umano estenuato dagli effetti distruttivi di un soggettivismo onnivoro quanto distruttivo.
Leopoldo Sandonà (1978) ha conseguito il Dottorato in Filosofia e la Licenza in Teologia. È docente presso diversi Istituti della Facoltà Teologica del Triveneto. Studioso del pensiero dialogico contemporaneo, i suoi interessi spaziano dall’ambito etico-antropologico alle questioni del dibattito bioetico ed etico-economico. Nella sua formazione spiccano gli incontri decisivi in ambito filosofico con Emanuele Severino, Bernhard Casper e Carmelo Vigna, in ambito teologico con Angelo Scola e Pierangelo Sequeri. Tra le sue pubblicazioni si segnalano Fidarsi dell’esperienza. L’opera di Franz Rosenzweig come evento della rivelazione (Venezia 2010), Quale bioetica? Le domande sulla vita e la civiltà della tecnica (Venezia 2010), La struttura dei legami. Forme e luoghi della relazione. Annuario di Anthropologica (a cura di, Brescia 2010) e Integrarsi. Uno sguardo antropologico sul tempo presente (Portogruaro, 2013).